Il silenzio nel Friuli Venezia Giulia colpito dal Coronavirus

Coronavirus friuli

Il Friuli Venezia Giulia è una regione d’Italia piccola, incredibilmente ricca di bellezze paesaggistiche, ma ora piegata dal Coronavirus.

Pensiamo al territorio regionale che va dalle alpi innevate al mare, delineando profili di colline, pianure ricche di acque, con fiumi come il Tagliamento o l’Isonzo smeraldino. E poi le lagune con oasi faunistiche, il Carso con la sua ruvida bellezza e le sue grotte, il laghi come quello di Cavazzo o quello di Cornino, riserva naturale per aiutare i grifoni a sopravvivere; e ancora le distese dei Magredi del pordenonese con i loro sassi e gli aridi cespugli.

Oggi a causa del Coronavirus il turismo è assente.

Il Friuli Venezia Giulia è stata terra di passaggio per molti popoli, anche quelli provenienti dal Nord e dal Nord-Est europeo, che hanno lasciato tracce fin dalla preistoria.

Aquileia è testimone di vita romana e paleocristiana, Cividale del Friuli mantiene memorie dei Longobardi, Udine è perla della Serenissima con le decorazioni del Tiepolo; e poi i castelli, le ville, i torrioni edificati da una nobiltà fedele, via via nei secoli, o all’imperatore o al patriarca o a Venezia; altre perle come la moderna Trieste, ripensata architettonicamente da Maria Teresa D’Austria, o Pordenone ricca dei bei palazzi di gusto veneto.

Fino a Gennaio 2020, cioè prima dell’allarme Coronavirus, queste erano mete turistiche molto gettonate.

Il Friuli Venezia Giulia è una regione di confine, che nell’età moderna non vanta importanti condottieri, ma che ha partecipato con maggior o minor slancio a tutti gli eventi d’Italia, prima e dopo l’unificazione Sabauda. Ha invece vissuto in modo drammatico le perdite: Caporetto e l’esodo dal Friuli dopo la disfatta nella Prima Guerra Mondiale, i problemi dell’occupazione Nazista, della lotta partigiana e la questione lacerante dei confini orientali, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale; il Terremoto del 1976 con la distruzione di gran parte della fisionomia architettonica del paesaggio urbano ed ora il Coronavirus,  una pandemia come non si era mai visto.

Siamo il 19 Marzo 2020 ed è in atto un ritiro della popolazione in casa. Le notizie statistiche ufficiali hanno il sapore di un bollettino di guerra: su una popolazione di 1.216 milioni i contagiati ad oggi sono circa 600, i decessi 36 ( fonte “Il Piccolo di Trieste” ) ma in tutt’Italia i malati sono 33.190 e i morti 3.405 , un numero superiore a quelli della Cina. Ecco alloro il silenzio e lo stato d’allerta di fronte ad un nuovo nemico: il Coronavirus. E siamo solo all’inizio.

C’è poco vociare nelle vie cittadine, non rumore di motori di automobili, non musica che esce dai locali. Le serrande dei negozi sono chiuse, la gente, in fila alle porte dei supermercati, alla debita distanza raccomandata dalle ordinanze ufficiali, è pensierosa.

La presenza turistica è assente.

Sono scarse qui da noi finestre aperte con gente che suona uno strumento o si fa segnali di saluto caloroso come in altre parti d’Italia, o almeno scarsissime nei paesi. Il friulano è chiuso, pensoso, allarmato da nuovi focolai di infezione da Coronavirus che si accendono nel resto del paese. Abituato da sempre a passaggi sul suo territorio di genti sconosciute e anche potenzialmente minacciose, enfatizza le sua difese caratterologiche: si chiude, tace, non sbraita, non si sbraccia. Purtroppo lo straniero che attacca ora è il Coronavirus. Un virus invisibile, non individuabile, sconcertante e sua volta silenzioso.

Il silenzio è come un velo di tristezza che avvolge la regione e rende indesiderabili i capannelli di gente, le offerte di cibo dei ristoranti locali, l’ingresso nelle cattedrali e nelle piccole chiese votive o le visite nei musei. È come una nebbia emotiva che avvolge monti, mari, colline e fa temere a tutti di perdere la libertà di movimento in questo meraviglioso lembo di terra che è il Friuli Venezia Giulia.

Speriamo che presto il turismo ricompaia in regione e tutto torni alla normalità.

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