La 12° battaglia sull’Isonzo: Caporetto e la disfatta

La disfatta di Caporetto

La Grande Guerra si abbatte con particolare violenza sul Friuli e sul Carso Isontino il cui territorio fu per anni un campo di battaglia che comportò perdite di uomini spaventose e distruzione di case, strade, villaggi, città.

Le 12 battaglie sull’Isonzo si susseguirono tra l’Esercito Italiano  e quello Austoungarico per la conquista del territorio e soprattutto di Gorizia.

La prima di queste battaglie risale al Giugno 1915, l’ultima iniziò il 24 Ottobre 1917 e portò alla disfatta di Caporeto, a cui contribuì l’intelligente azione di penetrazione in profondità nel nostro schieramento di un contingente guidato da Erwin Rommel.

Rommel era ancora appena 26 enne ma di fatto già un veterano in quanto aveva combattuto su tutti i fronti, dalla Mosa ai Carpazi.

In quelle situazioni aveva maturato un’esperienza notevole di comando ma anche di combattimento. Nella campagna italiana era sempre stato in prima linea, alla testa dei suoi uomini, ed era riuscito a scardinare il sistema difenitivo del regio esercito, avanzando senza sosta da Tolmino fino ad Alano, nella valle del Piave, diventando così un eroe.

Per questa impresa meritò la croce di smalto azzurra della medaglia “pour le mèrite” che rappresentava la più alta onorificenza prussiana, creata nel 1740 da Federico il Grande.

Riguardo la rotta di Caporetto molte sono state le ipotesi chiamate in causa per giustificare una sconfitta che assume nell’immaginario collettivo il senso del disastro militare per antonomasia.

Le truppe italiane erano state gettate nella battaglia alla rinfusa, abbandonate a loro stesse, con linee di rifornimento troppo lunghe. Non erano state preparate ai sistemi tattici dell’esercito Austro-tedesco che si basavano su modelli di elasticità nell’assalto.

I comandanti erano assenti e comunque legati all’idea del Generale Cadorna di attaccare, sempre, in ogni caso, fino all’ultimo sangue… senza prevedere ritirate strategiche e ricollocazioni per un ulteriore attacco.

Insomma si combatteva inseguendo idee teoriche di onore senza che i reparti venissero salvaguardati da perdite eccessive ed inutili.

Il disastro di Caporetto è stato prodotto dalla mancanza di ordini adeguati rispetto all’imprevisto, dal senso di isolamento dei soldati, dal terrore di venir meno alle direttive piovute dall’alto, ma rese inattuabili per l’interruzione delle linee di comunicazione.

A Cadorna, capo supremo dell’esercito, va ascritta soprattutto la responsabilità di aver plasmato lo schieramento strategico della seconda armata sulla falsariga delle sue antiquate cognizioni tattiche, che risalivano al famigerato libretto sull’attacco frontale, da lui pubblicato circa un decennio prima dello scoppio della guerra.

Siccome Cadorna puniva i suoi sottoposti, è ovvio che nell’esercito fosse presente la tendenza a richiedere ordini scritti e affidarsi alla trafila burocratica per evitare di essere incolpati di iniziative non conformi al pensiero del capo supremo.

Ne risultava una linea di comando rigidissima ed una impossibilità di pronta reazione e cioè esattamente l’opposto di ciò che sarebbe servito a Caporetto.

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