Il patriarcato friulano ottenne nel 1077 la giurisdizione sul territorio del Friuli: oltre al potere spirituale, dunque, ora ricopriva anche la carica di supremo capo temporale – batteva moneta, giudicava in materia feudale e sulle cause civili e criminali, imponeva e riscuoteva le tasse, comandava l’esercito.
Poiché il patriarca aveva tutti e due questi poteri, doveva ricevere l’investitura per entrambi: quella canonica del papa, quella feudale dell’imperatore. Questa avveniva all’interno del Duomo di Santa Maria Assunta.
La cultura
I primi patriarchi, almeno fino al 1251, furono quasi tutti tedeschi: è ovvio quindi che fossero di partito ghibellino, a favore dell’imperatore. Si impegnarono tutti per dimostrarsi generosi verso i sudditi, elargendo donazioni, organizzando collette per edifici danneggiati, concedendo mercati pubblici: quest’ultimo fu Pellegrino I ad istituirlo, purché i mercanti pagassero in proporzione a quanto spazio occupavano.
Ma oltre a ciò, essendo i patriarchi di famiglie nobili germaniche, portarono in Friuli la cultura teutonica, che andò a fondersi con quella delle antiche famiglie latine: formarono così la cultura friulana.
Ci furono molti uomini doti che, di fatto, conoscevano la letteratura sia latina che tedesca. Grazie al patriarca Pertoldo (1218 – 1251), fratello di Gertrude – moglie di Andrea, re d’Ungheria – e zio della Santa Elisabetta, il capitolo di Cividale conserva ancora, all’interno del Museo, il salterio gertrudiano e quello elisabettiano, e in Duomo si trovano le reliquie della santa.
La società
Nel frattempo, Cividale, soggetta solo la Patriarca o al rappresentante di costui – il gastaldo – si autogestiva mediante statui, ossia delle norme di diritto penale e civile, militari, di polizia urbana: vigevano sulla vita quotidiana degli abitanti. La popolazione era divisa fra tre classi sociali: i nobili, i liberi ed i servi, dei quali i più attivi erano i liberi.
I massimi esponenti dei quelle famiglie si riunivano nella chiesa di San Francesco per L’arrengo, l’assemblea popolare dove si dibatteva sulle magistrature e sui provvedimenti amministrativi.
La difesa della Città
In quel periodo la città si ampliava ed estendeva, ma di base continuava a seguire la pianta originale romana. La guardia delle mura della città fu istituita dal patriarca pellegrino I (1131 – 1161), ed era divisa fra Waite e Schiriwaite.
Le prime erano le guardie fisse, che vigilavano ininterrotte; le seconde invece pattugliavano di notte il contado extracomunitario: si trattava di cittadini “normali” che avevano ricevuto dal patriarca dei terreni a feudo di ministerio, ossia direttamente antistanti alle porte della città: chi occupava questi territori, era obbligato a far parte delle Schiriwaite.
L’economia
Per quanto riguarda l’economia, grazie alla buona rete viaria e ai privilegi patriarcali, Cividale poteva contare su un buon sistema di commerci, e una conseguente attività artigianale: ricordiamo infatti che Pellegrino I aveva concesso il mercato permanente in Piazza della Fontana (l’attuale Piazza Paolo Diacono).
L’attività commerciale era favorita anche dai prestiti ad usura concessi dagli Ebrei – arrivati a Cividale nel 1273, con il patriarca milanese Raimondo della Torre – e dalle numerose famiglie toscane: a causa della guerra fra Firenze e Siena, si erano sparse per l’Italia, e a Cividale ne arrivarono 35, se non di più.
Infatti Cividale, con il patriarca Gregorio di Montelongo, si era indirizzata definitivamente verso il partito guelfo, cui appartenevano tutte le famiglie fiorentine; ma da questa decisione iniziò inesorabilmente il declino dello stato patriarcale.