Da argilla a tegole e vasellame: le fornaci di Cella

fornaci di cella
Foro scattata al museo di Cella

La frazione Cella di Ovaro, situata a ovest del torrente Degano, si trova su una zona caratterizzata da terrenti argillosi, molto adatti per essere usati nella lavorazione di stoviglie, vasellame e laterizi in genere. Lo sfruttamento di queste risorse risale fin dai tempi più remoti, tanto che nei pressi della chiesetta di San Rocco ci sono stati dei ritrovamenti di epoca longobarda. La presenza dell’attività di fornace, invece, risale al XVIII secolo ad opera di Giovanni Battista Felice, giunto da Buja.

L’ottima qualità dell’argilla di cui era composta la pasta e l’accurata cottura permettevano di ottenere una indiscutibile qualità dei prodotti, che non avvertivano l’usura del tempo. Note erano le tegole, ma nelle fornaci gestite dalle famiglie di Cella, i Felice e i Rotter, venivano comunemente prodotti anche oggetti per la cucina, quali ciotole, piatti, scodelle, pentole, vasi e contenitori di varie forme e grandezze per la conservazione di grassi e carni, anche grazie alla caratteristica dell’argilla che usata, che permetteva di ottenere piccoli spessori ma resistenti. Le superfici interne di tutti gli oggetti venivano smalti con colori molto resistenti, di consistenza vitrea, mentre l’esterno rimaneva in cotto. Gli smalti, come detto, erano molto resistenti, tanto che nemmeno l’uso di posate metalliche e il passare degli anni, scalfivano le superfici trattate. Le tonalità delle vernici usate erano: bianco paglierino, marrone chiaro, rossiccio, marrone scuro e verde.

Le fornaci di Cella nell’arco dei secoli hanno cambiato il colore delle coperture dei paesi dell’alta Carnia: dal grigio delle scandole in legno e della paglia, al rosso della terracotta delle tegole piane. Ma la tonalità che più salta agli occhi di chi passa nei paesi dell’alta Carnia è il verde dei tetti delle chiese e delle abitazioni di maggior pregio. Per questi edifici, infatti, venivano utilizzate delle tegole smaltate di verde. Questi tetti sono perfettamente conservati; un esempio tra tutti è la Casa delle cento finestre di Mione, che si nota già dall’abitato di Ovaro.

Le formule dei colori e degli smalti sono andate perse, ma è certo che erano ottenute con materie prime estratte localmente, senza l’aggiunta di prodotti chimici disponibili oggi, allora sconosciuti.

Proprio a Cella si trovava l’ultima fornace della Carnia, che terminò la sua attività nel 1953: era la fornace di laterizi e vasellame di Stefano Felice.

Oggi, oltre alle tegole sui tetti dell’alta Carnia, tutto questo patrimonio è conservato e visibile, nella mostra permanente “Planelas e Scugjelas”, sempre a Cella di Ovaro. Qui si possono ammirare tegole con diverse gradazioni del colore verde, che le diverse generazioni hanno sfornato durante il periodo di attività. È documentata anche la produzione di altri manufatti in terra cotta per l’edilizia. Tipi diversi di mattoni, mattonelle da pavimento, tubature per l’acqua, tegole da colmo e marsigliesi realizzate con la pressa. Il campionario di prodotti esposto nella mostra dà l’idea dell’abilità manuale di tornitori e artigiani che lavoravano con poche e rudimentali attrezzature, ma con molta maestria e precisione.

La mostra è aperta nei sabati e domeniche dei mesi di luglio e agosto, dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 18.00, e su richiesta contattando il gentile e disponibile sig. Tronchin al numero +39 338 5619858 .

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