Quella della diga del Vajont è una pagina di storia scritta ancora oggi nel cuore del Friuli-Venezia Giulia. Scritta con inchiostro indelebile, purtroppo, e segnata dal gran numero di vite umane che si spensero tragicamente il 9 ottobre 1963.
Ma la diga, e con essa i ricordi che si associano al suo nome e a quei tragici avvenimenti, non è solo una ferita a cielo aperto. È anche (e soprattutto) un tributo, una testimonianza tangibile delle disastrose conseguenze che si verificano quando l’uomo, nella sua sfrenata ambizione, non rispetta le caratteristiche geografiche e geologiche del paesaggio in cui vive e interviene con le sue opere architettoniche.
La diga del Vajont ai giorni nostri
Ancora oggi, 31 Marzo 2017, a distanza di oltre cinquant’anni, la diga del Vajont è una meta turistica imperdibile per chi si trovi a visitare il Friuli Venezia Giulia. E vale indubbiamente una visita anche se si è solo di passaggio, on the fly. Perché di fronte allo spettacolo della diga in disuso è veramente difficile trattenere le lacrime, mentre lo sguardo spazia a perdita d’occhio sulla valle sottostante.
E’ uno spettacolo che toglie il fiato, di un’incommensurabile bellezza. Doloroso, anche, di quel dolore caratteristico che permea i luoghi in cui si sono consumati disastri naturali e tragedie. Ma, al tempo stesso, la diga si presenta sublime e maestosa, e nel suo svettare contro la fulgida cornice delle Dolomiti rappresenta insieme un monito e un simbolo della natura che non si arrende. Che sopravvive, nonostante tutte le avversità. Anche quelle più catastrofiche.

Una menzione particolare meritano le guide del luogo, che con la loro competenza e disponibilità svolgono un lavoro insostituibile, non solo per quanto riguarda la valorizzazione del paesaggio e dell’ambiente, ma per la ricostruzione storica. Le loro parole, di fronte allo spettacolo imponente della diga del Vajont come si presenta oggi, rievocano con accuratezza e partecipazione la tragedia che segnò irrevocabilmente il Friuli Venezia Giulia in quella sera d’ottobre di cinquant’anni fa.
La tragedia del Vajont
Erano le 22.39 del 9 ottobre quando la frana del Monte Toc si riversò implacabile nelle acque del torrente Vajont, tracimando oltre la superficie della diga e inondando tutto il fondovalle. Una tragedia repentina, inarrestabile, come lo sono del resto tutte le grandi calamità naturali.
La popolazione del fondovalle e gli abitanti dei moltissimi paesi che vennero letteralmente sommersi dalla frana (fra cui Longarone, Erto e Casso) fu colta di sorpresa, e poco o nulla poté contro la furia del fiume, libero dei suoi argini e travolgente.
Il disastro del Vajont poteva essere evitato
Un “disastro” che si poteva tuttavia evitare, come avrebbero rivelato le indagini e le inchieste che fecero seguito all’accaduto. I progettisti della diga, incaricati dalla SADE (Società Adriatica di Elettricità) di supervisionare la costruzione del progetto “Grand Vajont” (un bacino idrico di ampiezza e capacità insuperabili) non avevano tenuto conto delle peculiarità non solo climatiche, ma anche sismiche e strutturali, della zona.
L’area in cui sorge ancora oggi la diga era infatti notoriamente instabile, con frequenti frane e smottamenti dovuti alla particolare friabilità del terreno. Lo stesso Monte Toc doveva il suo nome al termine friuliano “patoc”, ovvero “marcio”, inteso proprio a descriverne la natura tutt’altro che salda.
I dati della tragedia del Vajont
Un progetto che non avesse tenuto conto di queste caratteristiche avrebbe potuto risolversi in tragedia già molto prima. Invece, miracolosamente, la diga riuscì a sostenere anche l’impatto travolgente delle acque del fiume e dei detriti provocati dalla frana. Ciò che non poté fare fu frenarne la violenza tempestosa. Una violenza, come rivelarono le indagini, pari a due volte quella del disastro atomico di Hiroshima. Privata del suo sbocco naturale, l’acqua si riversò nel fondo valle con la forza distruttrice di una vera e propria onda di marea, sommergendo e trascinando con sé abitazioni, veicoli e tante, troppe vite umane.
A tutt’oggi non si hanno certezze sul numero esatto delle vittime del disastro della diga del Vajont: le statistiche parlano indicativamente di quasi duemila fra morti e dispersi. Interi abitati furono distrutti, così come la quasi totalità del comune di Longarone, ai piedi della valle. Vittime senza volto e senza nome, che emergono come fantasmi dalle parole delle guide del Vajont e dalla memoria di chi, da turista, rivolga un pensiero a quella notte senza fine.