Trieste Italiana: la questione dei confini

Trieste confini
Trieste confini

Anzitutto va detto che verso la seconda metà dell’1800 il desiderio di italianizzazione da parte dei triestini era ancora piuttosto debole.

Gli Irredentisti a Trieste erano una minoranza, limitata entro i confini urbani, in quanto la campagna, composta da piccoli proprietari o da contadini sloveni era indifferente.

L’Irredentismo era assente tra l’aristocrazia, i grossi mercanti, gli imprenditori, un po’ più presente nel mondo degli impiegati e molto vivo tra gli intellettuali.

Tito Maniacco riferisce che all’epoca le percentuali dei cittadini desiderosi di italianità erano un piccolo gruppo: 5000 individui su una popolazione di 250.000

Il Socialismo nascente, per opera della Socialdemocrazia austriaca, infiammava gli animi dei portuali e degli operai e non li spingeva certo verso l’italianità.

Una prova dello scarso interesse è dato dall’esiguo numero dei volontari spinti a partecipare alle azioni armate del 1848-49 e del 1859. I volontari crescono nel ’66. Non dimentichiamo che nel 1860 lo stesso Mazzini pensava all’Isonzo come confine naturale tra Italia e Austria, che corrisponde grosso modo al vecchio confine con l’Aquila Asburgica dello Stato Patriarcale e di Venezia.

Carlo Albero nella I Guerra d’Indipendenza aveva indicato come desiderabili i confini al di là della città di Fiume, altri avevano pensato ad un’Istria neutrale e ad una trasformazione di Trieste in Città Libera.

Di fatto il processo di “desiderabilità Italiana” cominciò ad avere un certo incremento solo alla fine del 1800, contrastato da molti triestini, ma anche friulani, che non si sentivano molto coinvolti emotivamente dalla fierezza di appartenere all’Italia.

Le considerazioni, abbastanza evidenti, sono che il ruolo che il territorio nord orientale venne ad assumere sia per il Regno d’Italia, sia nel Secondo Dopoguerra, è lo stesso ruolo che gli assegnarono i Romani, i Longobardi, i Franchi, i Patriarchi Feudatari dell’Impero e Venezia. E cioè un ruolo difensivo o offensivo, un cuscino per parare i colpi rispetto ad un ipotetico straniero-invasore.

Dopo la Grande Guerra (1914-1918), alla Conferenza di Pace dei Parigi (1919-1920) i paesi usciti sconfitti dal conflitto furono penalizzati, soprattutto la Germania.

In Europa ci fu l’ascesa degli interessi di Francia e Inghilterra. L’italia ottenne le terre del Trentino, dell’Alto Adige, Trieste, Istria e Zara. Per l’Italia restò in sospeso la questione della città di Fiume.

Fu questo senso di “vittoria mutilata” che spinse un gruppo di volontari, guidati da Gabriele d’Annunzio, a marciare su Fiume ove instaurarono un vero governo.

Poi, con il trattato di Rapallo, Fiume fu proclamata “città libera” costringendo d’Annunzio ad abbandonare la zona.

Dopo il secondo conflitto mondiale si ripropose la questione dei confini orientali. Nel settembre del 1945 Tito sosteneva che tutta la Venezia Giulia si doveva riconnettere ai Balcani e che Trieste era indispensabile alla Jugoslavia.

Il 10 Febbraio 1947 si firmò il Trattato di Pace, ma non si risolse il problema di ricondurre all’Italia la zona di Trieste, all’epoca ancora dichiarata “territorio libero”.

Il 10 Dicembre 1950 venne stabilito un accordo bilaterale con la Jugoslavia per pendenze finanziarie  successive al Trattato di Pace.

Tito dichiarava che per risolvere la questione di Trieste occorreva stabilire una frontiera chiara ed accettata da entrambe le parti.

Il 26 Ottobre 1954 l’Italia riassunse la diretta amministrazione del territorio triestino.

Il 10 Novembre 1975 ci furono gli accordi di Osimo che definirono la linea di demarcazione tra il confine Jugoslavo e quello Italiano. La decisione provocò la rivolta dei triestini e degli esuli istriani.

Nel Giugno 1991 iniziò la guerra che portò alla dissoluzione della Jugoslavia, ma per l’Italia si chiuse la possibilità di riaprire ogni rivendicazione sulle terre istriane e ancor meno su quelle dalmate.