Nacque molto povero, ma biondo, il pugile italiano più bello della storia, come lo definì Gianni Minà.
E nacque a Trieste, nel 1926 (il 12 luglio, per la precisione).
Un nome da mitologia, il suo, Tiberio Mitri, forte e altisonante, certo premonitore di una vita di ascese e cadute quale fu la sua.
Padre alcolizzato e madre a lavorare in un’osteria – affidato, si dice, alle cure di una donna che lo portava con sé a mendicare e lo punzecchiava con uno spillo per farlo piangere e così impietosire i passanti – Tiberio finì da ladruncolo adolescente in riformatorio; a salvarlo fu il ring dove salì quasi casualmente per la prima volta a vent’anni.
E’ l’inizio del riscatto: la “tigre di Trieste” o il “re del K.O.” – così venne in seguito appellato – aveva iniziato a ruggire.
Nel 1948 vince il titolo italiano dei pesi medi sconfiggendo ai punti Michele Marini; nel 1949 ottiene quello europeo contro il belga Cyriel Delannoit.
A ventiquattro anni, nel 1950, Tiberio Mitri, biondo, elegante e amato dalle donne – che molto gli piacevano – ha il mondo ai piedi. E proprio il giorno del suo ventiquattresimo compleanno, in quel di New York, la Tigre resiste per quindici round alla furia di Jake La Motta, futuro campione mondiale dei pesi medi, alias il Toro del Bronx (il Toro scatenato, appunto, del gigantesco film di Scorsese con De Niro nei panni del pugile).
Nella trasferta americana Tiberio Mitri era stato accompagnato dalla moglie, sua concittadina, Fulvia Franco ex Miss Italia (titolo ottenuto nel 1948 e salutato come simbolo patriottico, in quanto la città di Trieste all’epoca era parte del Territorio Libero di Trieste) che era volata però ad Hollywood per inseguire il sogno del cinema… Sembra che il matrimonio iniziò a traballare proprio da quel momento (e fu facile per l’entourage della Tigre imputare alla moglie le condizioni psicologiche non ottimali del pugile). Il matrimonio si sciolse – tra tradimenti, scenate e rincorse – di lì a breve, nel 1954; era durato quattro anni per la felicità del gossip e dei rotocalchi.
Nello stesso anno Tiberio Mitri, rientrato in Italia, riconquistò il titolo europeo dei pesi medi battendo clamorosamente, alla prima ripresa per K.O. tecnico, l’inglese ex campione del mondo Randy Turpin, ma solo cinque mesi dopo lo perse nuovamente contro il francese Charles Humez.
Quando nel 1957 la Tigre appenderà i guantoni al chiodo, la sua storia pugilistica si riassumerà così: 101 incontri disputati; 88 vinti (dei quali 22 per K.O.), 7 pareggiati, 6 persi (1 per K.O.).
Avrebbe potuto, forse, esserci il cinema… ma si trattò solo di una parentesi fugace e poco significativa.
Nel 1952 ha una parte ne I tre corsari e in Jolanda, la figlia del Corsaro Nero entrambi diretti da Mario Soldati; poi nel ’56 nella commedia di Mauro Bolognini Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo al fianco di Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Gino Cervi, Nino Manfredi. Veste i panni di un gorilla in Totò a Parigi (’58) di Camillo Mastrocinque e l’anno successivo è nel cast del capolavoro di Mario Monicelli La grande guerra, protagonisti Alberto Sordi e Vittorio Gassman.
Seguiranno poi le ospitate televisive, ma in breve tempo anche la sua carriera davanti ai riflettori ebbe termine e la parabola discendente divenne purtroppo inarrestabile; lutti pesantissimi (la perdita dei due figli, prima l’adorato Alessandro, quindi Tiberia avuta dall’ereditiera americana Helen de Lys Meyer, in entrambi i casi legata a problemi di tossicodipendenza) si accompagnarono ad una condizione esistenziale pesantemente segnata da alcolismo, deterioramento delle facoltà mentali, assunzione di cocaina.
Il 12 febbraio 2001, Tiberio Mitri morì travolto da un treno della linea Roma–Civitavecchia mentre camminava lento lungo i binari che costeggiano un muretto fuori dalla stazione Termini. Il macchinista dichiarò di averlo visto, di aver azionato il segnale acustico, ma “quell’uomo che sembrava un’ombra” non reagì. Non si mosse sino all’impatto. In tasca, poi, gli trovarono il passaporto e la ricevuta di pagamento del canone televisivo. Solo così lo identificarono e capirono che era l’antico campione. Indossava un giaccone blu, pantaloni sportivi, la giacca del pigiama e un paio di scarpe malridotte.
Si presume vagasse senza meta in stato confusionale, come purtroppo era ormai solito fare.