La morte da Coronavirus e l’assenza di degne cerimonie funebri

paura della morte

Il Coronavirus ha contagiato un numero incredibile di vittime. Al momento attuale, e cioè il 22 Marzo 2020, le statistiche italiane ci segnalano 5.476 morti e 59.138 casi positivi su una popolazione di 60,48 milioni di individui. L’Italia è, dopo la Cina, il paese più colpito dall’epidemia. Purtroppo il bisogno di isolare le persone ammalate, per non diffondere il contagio, ha reso necessario vietare ai parenti le visite nei reparti di cura intensiva e la consueta celebrazione delle onoranze funebri.

Oltre allo strazio per la perdita dei propri cari, si profila nella popolazione anche la difficoltà di affrontarne la morte senza la possibilità di assicurare al morente la propria vicinanza affettiva, il conforto religioso ed un degno funerale.

Talvolta queste mancanze generano, in chi resta, un sentimento di sospensione oppure colpa, rimpianto, angoscia, difficoltà nell’elaborare il lutto.

Il funerale non ha solo un senso celebrativo religioso ma è anche uno strumento sociale che la nostra cultura mette in atto per dare un significato accettabile e condiviso alla morte. Rito di passaggio verso un’aldilà cristiano o laico, esso resta una strategia per assimilare e tollerare meglio la fine dell’esistenza. Questo aiuta gli individui ad integrare la morte al proprio universo mentale, senza emarginarla dalla coscienza, o autodistruggersi. L’immaginario soggettivo, infatti, ha bisogno di collocare il fine vita entro una dimensione accettabile, come degna conclusione dell’esistenza, per mantenere e trasmettere fiducia nel divenire.

In questo momento la pandemia del Coronavirus ci mette di fronte non solo a troppi morti ma anche ad una “Brutta Morte”. È possibile immaginare una morte non brutta o addirittura una “Bella Morte”? Il mondo omerico ci risponde positivamente.

Nell’antica Grecia la morte veniva presentata da divinità differenti: Thanatos, spesso associata al fratello Sonno, appare come una divinità di bell’aspetto, simile ad un uomo, dai tratti virili, dotato di ampie ali. Thanatos non è la morte spaventosa, perché il suo ruolo non è quello di uccidere ma di accogliere. Omero ci descrive Thanatos sul campo di battaglia mentre raccoglie le spoglie dell’eroe morto combattendo, nella piena giovinezza,  così da guadagnarsi la gloria imperitura della fama. Infatti il guerriero sa trovare il perfetto compimento della propria vita gettandosi nella mischia e lottando senza risparmiarsi. Nel pensiero greco questo coraggio lo sottrae sia al terribile invecchiamento senza speranza, sia alla banalità della vita quotidiana vissuta nell’anonimato.

L’eroe affronta la morte con baldanza, la trasforma in un’occasione di sopravvivenza simbolica attraverso la poesia epica, che ne celebrerà le gesta per sempre. In questo modo la morte fisica, la fine di tutto, genera il suo opposto cioè l’eternità della fama, persistente nella memoria dei posteri.

Thanatos, divinità maschile,  buona ma inflessibile, non lascia scampo, non molla la presa, ma raccoglie il giovane corpo dell’eroe su campo di battaglia e gli garantisce una degna sepoltura.

L’altra faccia della morte, la potenza terrifica, l’indicibile, è rappresentata invece da una divinità femminile, la Chere. Essa è una forza malefica che si accanisce contro gli uomini per distruggerli e gettarli in un’oscurità senza scampo. È questa divinità femminile che si abbatte sul corpo umano con i suoi artigli, lo trasforma in cadavere, e caccia la sua anima nel Tartaro. È proprio questa Brutta Morte senza funerali che può essere assimilata alla rappresentazione della nostra morte nera, incappucciata, con la falce in mano, che miete vittime senza pietà e senza rispetto per gli umani. Sembra la “Brutta Morte” dei nostri tempi dovuta al Coronavirus.

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