Nel 1904 James Joyce si trasferisce a Trieste, scegliendola per il suo cosmopolitismo e la certezza di trovare un’alternativa alla sua città, Dublino. Un luogo “parrocchiale” secondo lo scrittore, “paralizzante”, che bloccava i suoi cittadini in un’atmosfera non adatta al suo spirito libero.
Nella realtà Trieste accoglie James Joyce un po’ troppo brutalmente: il giovane fresco, fresco di laurea, presa a Dublino, entra in un locale Triestino e chiede un’informazione a dei marinai inglesi e ubriachi.
Arriva la polizia e arresta tutti, anche se dopo qualche ora lo scrittore irlandese verrà rilasciato. Corre dalla moglie Nora, che lo aveva accompagnato in Italia e durante le ore dell’arresto lo aveva aspettato inconsapevole in piazza.
Che avventura scoraggiante e così lontana dalle aspettative di una Trieste aperta e cosmopolita!
Di fatto, ai primi del ‘900, la città asburgica godeva di questa buona fama: tra i suoi abitanti c’erano comunità danubiane, greche, ebraiche, per cui si parlavano più lingue e c’era un fermento culturale non da poco, grazie anche all’attività portuale.
Il povero James Joyce, tuttavia, si riprende in fretta ed incomincia ad insegnare inglese alla Berlitz School. È proprio grazie alla scuola ed alla sua attività didattica che conosce un certo Ettore Schmitz, cittadino benestante, desideroso di imparare l’inglese.
Schmitz si firmerà come scrittore Italo Svevo.
James Joyce, al suo arrivo a Trieste, aveva scritto qualcosa ma era ancora alla ricerca della sua anima d’artista. Tra i due nasce un’amicizia che produrrà ottimi frutti.
Joyce, che non sguazza nell’oro, va a casa del suo allievo e della moglie Livia con il famoso “tram di Servola” che quando la bora tira forte si ribalta. Intanto pensa, scrive, legge qualche pagina di Dedalus o dei racconti a Svevo e a Livia.
Livia esprime tutta la sua ammirazione per la scrittura di Joyce e lo convince a continuare.
Svevo aveva già dato alle stampe Una Vita e Senilità e godeva della piena stima di Joyce, anche se i due romanzi italiani non erano ancora decollati, non avendo riscosso il plauso della critica e del pubblico. Dei due forse era Svevo il meno convinto dei suoi talenti.
James Joyce rimane a Trieste fino al 1915, torna nel ’19 ma nel 1920 si sposta a Parigi e proprio da lì aiuterà il suo amico a lanciare Serenità.